I prodotti tipici

Radici storiche della cucina lucana

La cucina lucana ha origini antiche ed alcune ricette tipiche, strettamente legate all’essenza rurale di questo popolo, contadino e pastore, sono rimaste inalterate fino ai giorni nostri. L’amore per le radici non ha mai significato chiusura per questa regione, anzi, la gente della Basilicata, ha saputo trasformare ingredienti semplici di un mondo rurale in capolavori per il palato. La Basilicata esprime ancora oggi una gastronomia poco stravolta da derive commerciali, un orientamento che rappresenta lo spirito di un territorio tra i migliori nella conservazione della qualità e dei prodotti tradizionali.

Come affermano gli esperti di gastronomia, si tratta di una cucina povera ma genuina nata dal “poco” e dalla creatività delle massaie, semplice ed essenziale ma particolarmente gustosa. Realizzavano ricette con le quali riuscivano a imbandire tavole per famiglie quasi sempre molto numerose. La cucina locale era soprattutto vegetariana perché i vegetali, almeno nei giorni non di festa, erano preponderanti sulla carne, sui prodotti caseari e ancor più sul pesce.

La gastronomia lucana affonda le proprie radici nei millenni fino a risalire alle comunità neolitiche che hanno popolato la regione nelle località ofantine, nel melfese, a Matera (V e IV millennio). A testimonianza di un proliferare di fattorie sin da età remote sono i santuari di tipo campestre sparsi sul territorio della regione e databili dal VI sec. a.C.  Successivamente l’espansione romana fa decadere alcuni centri e ne fonda nuovi altri come Grumentum, Potentia e Venusia. L’invasione romana porterà nuove tradizioni in campo alimentare. Quanto agli allevamenti, nelle fasi più antiche prevalgono ovini e caprini; il ben noto interesse per i suini si diffonde con il passare dei secoli. In una “Carta dei prodotti alimentari delle Province Continentali del Regno delle due Sicilie” del 1865 è riportata una mappa delle produzioni lucane, alcune delle quali oggi scomparse. Vi sono raffigurati, localizzati ed elencati ben 51 prodotti: “vaccine, montoni, majali, cinghiali, caprii, conigli, lepri, polli, polli d’India, anitre, uccellame, pesci di fiume, pesci di mare, ragoste, frutti vino, vino fino, riso, frutta, agrumi, mandorle, melloni, cipolle, tonnaja, tartufi, paste lavorate, biscotti, olive, burro, mele congetti, frutta confettati, acquavite, liquori, fichi secchi, frutti secchi, salami, cacio, caciocavallo, sale marino, sale montano”. Vengono citati vigneti nella zona del Vulture, grano e cinghiali nel materano, nelle zone interne maiali, formaggi, salumi. Il pollo d’India (tacchino) è allevato a Muro Lucano; a Ferrandina olive; castagne si raccolgono a Montemurro  sul Vulture e a Moliterno, legumi a Pescopagano. Pregiate le fave e i fagioli di Pignola, Marsico Nuovo e Saponara di Grumento, mentre le zone di Sant’Arcangelo e Senise si distinguono per la cura degli orti e giardini. Tra le colture arboree va segnalato il gelso; mandorli a Pomarico e Miglionico, agrumi a Maratea, Montalbano, Tursi.

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⇑  Carta dei prodotti alimentari del 1865

Prima ancora, gli Svevi portarono in Basilicata il rafano (radice originaria dell’Europa centrorientale) chiamata anche barbaforte o cren, nome scientifico: Armoracia rusticana) , da cui la rafanata, piatto tipico di carnevale. I Longobardi importarono il baccalà, che si può gustare in zuppa, arrostito o fritto (vedi baccalà con peperoni cruschi ). Sulle tavole Lucane oggi non mancano mai il pane (cotto in forno a legna) e la pasta fatta in casa, lavorata a mano con sola farina di grano duro, sale e acqua. E di pasta fatta in casa c’è solo l’imbarazzo della scelta: le “manate” del potentino, i “rascatielli” della Val Sarmento, fusilli, lagane, “maccaroni”  e “maccaruni pu cuott'” (maccheroni nel cotto di fichi) di Montalbano, capunti di Genzano, “cingul” (tocchetto di pasta fresca) di Rionero in Vulture, cavatelli, calzoni, scorze di mandorla del Materano, “purcedduzz” (gnocchetti di pasta fresca) di Grassano, orecchiette, strascinati. Da non dimenticare il mischiglio un tipo di pasta prodotta con farine di ceci, orzo, semola e fave risalente al periodo del tardo Rinascimento, molto diffusa oggi nei paesi di Fardella, Teana e Calvera (Pz). Come vuole la tradizione il mischiglio viene spesso condito con cacioricotta e peperone secco a scaglie.

I prodotti tipici:

  • Fagioli di Sarconi IGP

I fagioli di Sarconi si producono in un’ampia zona che comprende Grumento Nova, Tramutola, Marsico Nuovo, Paterno, Marsicovetere, Moliterno, San Martino d’Agri, Spinoso, Viggiano, e ovviamente Sarconi (tutti paesi della provincia di Potenza). !CDvwSz!!2k~$(KGrHqMOKm4Ez69cU2HtBNPo9IED-w~~_35[1]Qui questa coltivazione ha antiche tradizioni, ed è favorita dalle particolari condizioni ambientali e dall’abbondanza di acqua, che conferiscono ai fagioli caratteristiche uniche. Le basse temperature estive e la freschezza delle acque di irrigazione (in particolare del fiume Sciaura) permettono di mantenere nei semi un alto contenuto di zuccheri semplici,  allungando i tempi necessari per la loro trasformazione in amido: è proprio questo il motivo per cui hanno un piacevole sapore tendente al dolce. A questo va aggiunta la conformazione del terreno. I terreni di coltivazione infatti sono alluvionali, freschi, profondi, fertili, e soprattutto non calcarei, ciò fa in modo che questi fagioli abbiano una buccia sottile e che durante la cottura non perdano le loro caratteristiche organolettiche e nutritive. Questo fagiolo sembra abbia proprietà depurative, emollienti e diuretiche; per la sua ricchezza di proteine, amido e sali minerali, è usato come succedaneo dell’insulina, in caso di forme non gravi di diabete.  La semina avviene tra aprile e luglio, a seconda della varietà. La raccolta, la battitura e la cernita vengono effettuate quasi esclusivamente a mano. Esistono più di 20 ecotipi di fagioli di Sarconi con portamento nano e rampicante per la produzione di baccelli freschi e a granella secca. Le varietà più diffuse sono: riso o tondino bianco, tovagliedde, rampicanti, verdolini, ciuoti o regina, e ancora napulitano vasciu e napulitano àvut, tabacchino, munachedda, San Michele, cannellino, muruseddu.

  • Peperoni di Senise IGP

Si tratta di un ecotipo locale contraddistinto da un elevato tenore di vitamina C e un basso contenuto d’acqua (quindi può essere facilmente essiccato). La bacca di questo peperone ha forma di corno di toro e, a maturazione completa, assume un colore rosso vivo e un sapore dolce. La polpa è poco spessa e il peduncolo resistente. peperone-del-senise[1] Ciò gli consente di non staccarsi dalla bacca durante l’essiccazione. La raccolta, eseguita manualmente, avviene in genere nella prima decade di agosto. I peperoni di Senise sono ottimi sia freschi che come contorno per il baccalà (vedi ricetta baccalà con peperoni cruschi), oppure ancora secchi o macinati in polvere. Per l’essiccazione vengono raggruppati nelle caratteristiche “serte”. Queste si preparano infilando uno ad uno i peduncoli dei peperoni con un ago, e disponendo le bacche a spirale intorno allo spago, per poi lasciarle essiccare all’aperto.

  • Canestrato di Moliterno IGP

La tradizione di questo formaggio ha origini molto antiche: nella grotta detta “Murgia di Sant’Angelo” presso Moliterno sono stati rinvenuti bollitoi da latte risalenti all’età del bronzo. Per la produzione del canestrato di Moliterno il latte viene riscaldato per mezz’ora a circa 36-40 gradi. Dalla rottura della cagliata si ottengono pezzi di dimensioni molto piccole che, dopo alcuni minuti di riposo, vengono tolti dal siero e messi in fuscedd’ (canestri, da cui il termine canestrato), salati e portati a Moliterno nei tipici fondaci per la stagionatura.  canestrato-moliterno[1] Il fondaco altro non è che un magazzino realizzato al piano terra delle antiche case nobiliari che per la particolare conformazione e condizione ambientale conferiscono al prodotto finale il suo inconfondibile gusto. Presenta una crosta di colore giallo più o meno intenso nella tipologia primitivo (stagionatura fino a 6 mesi) fino al bruno nella tipologia stagionato (stagionatura fino a 12 mesi); al taglio il colore è bianco o leggermente paglierino per la tipologia primitivo, diventando più o meno intenso col proseguire della stagionatura. Il sapore è dolce e delicato, raggiungendo note più accentuate e piccanti con il protrarsi della stagionatura. E’ ottenuto da latte di pecore e capre allevate a pascolo in circa 60 comuni della Basilicata, in una vasta area che ricalca il tracciato degli antichi tratturi della transumanza. Il canestrato di Moliterno, un formaggio che ama farsi aspettare, per poi sprigionare al momento giusto le sue spiccate qualità organolettiche.

  • Pane di Matera IGP

Il pane di Matera IGP ha origini molto antiche: nel 1653 Gianfranco De Blasiis con “Cronologia della Città di Matera” (Archivio di Stato di Matera) scrive “Delle conserve di grani e lor perfettione, basta di dire che ne si conserva sin’ a diece, dodeci e quindeci anni, come se stesse in una cassa, e per queste conserve dè grani ci è tradizione che questa Città fusse stata granaio del populo Romano”. Ogni famiglia possedeva il suo mortaio per la molitura del grano, il primo molino industriale apparve nel 1884. In seguito ogni famiglia cominciò a cuocere il proprio pane nei forni pubblici a legna, per cui di conseguenza nacque una vera e propria imprenditoria nel campo dei forni. Fino alla fine degli anni ‘50 le famiglie materane imprimevano con un timbro di legno il proprio marchio sul pane da infornare per riconoscerlo dopo la cottura. Questo pane è fatto di sola semola di grano duro con l’aggiunta di lievito madre, sale e acqua. La semola utilizzata proviene da vecchie varietà coltivate nel territorio della provincia di Matera quali Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo.

pane_matera[1]Può essere cotto sia nel forno a legna che nel forno a gas, mentre per quanto riguarda la forma può essere a cornetto o rotonda a pane alto. Il prodotto ottenuto, grazie agli ingredienti utilizzati ed alla specificità del processo di lavorazione, si caratterizza per un colore giallo, una porosità tipica e molto difforme (con pori, all’interno del pane, del diametro variabile da 2–3 mm. fino anche a 60 mm), un sapore ed una fragranza estremamente caratteristici. La zona di produzione comprende tutta la provincia di Matera.

  • Pecorino di Filiano DOP

Filiano, in provincia di Potenza, domina la valle di Vitalba, un tempo ricca di boschi e di acquitrini. Studiosi di storia locale fanno risalire il nome di Filiano all’abbondanza di lana filata prodotta nella zona. La stirpe dei Doria feudatari del 1530, a seguito di donazione dell’Imperatore Carlo V della zona circostante il Monte Vulture, in gran parte coincidente con la delimitazione territoriale del Pecorino di Filiano, organizzava strutture produttive e stabilimenti per la trasformazione del latte e della lana. Nei registri dell’azienda di famiglia, infatti, è documentato che il patrimonio ovino di Filiano aveva raggiunto punte di 10.000 capi.

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Il pecorino di Filiano è un formaggio a pasta dura, ottenuto con latte intero di pecora di razza Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci. Un sapore che prende corpo dall’alimentazione delle pecore, si concentra nella pressatura, si esalta nella stagionatura. Oggi si produce in un areale di 30 comuni, che si estende dal Vulture alla zona del Melandro. I casari usano ancora, come prescritto dal disciplinare di produzione, strumenti tradizionali come lo “scuopolo” o “ruotolo” (mestolo di legno) per rompere la cagliata  e le “fuscedd”, le caratteristiche forme di giunco.  La pasta mostra una consistenza compatta ed è di colore variabile dal giallo a giallo paglierino. Il colore della crosta, recante i caratteristici segni della “fuscella”, si presenta dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate. Una caratteristica importante di questo formaggio consiste nel fatto che il grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%.

  • Melanzana rossa di Rotonda DOP

La melanzana rossa di Rotonda DOP (Solanum Aethiopicum) è un tipo di ortaggio molto particolare che incuriosisce non poco: unica nel suo genere si avvicina molto per forma e colorazione al pomodoro, ma anche ad un caco o una mela. Infatti nella sua zona di produzione (Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore) viene chiamata “merlingiana a pummadora” . Sembra che questo tipo di melanzana fu importata in Basilicata dai combattenti reduci dall’Africa (dato che questa solanacea è coltivata soprattutto nell’Africa settentrionale).

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Ha una forma tondeggiante e le sue dimensioni sono contenute, il colore è arancio striato verde, rossa a piena maturazione. Una delle caratteristiche che sorprendono di più e quella di non ossidarsi dopo il taglio a differenza delle comuni melanzane dal colore viola. Il profumo ricorda il fico d’india, delicato e piacevole, mentre al palato si presenta inizialmente dolce, poi un leggero sapore piccante e amarognolo allo stesso tempo. La polpa è carnosa, la pianta della melanzana rossa può arrivare a produrre anche cinque chilogrammi di frutto.

  • Olio extravergine d’oliva Vulture DOP

L’olio di oliva Vulture DOP è prodotto nei comuni di Atella, Barile, Ginestra, Maschito, Melfi, Rapolla, Rionero in Vulture, Ripacandida e Venosa, tutti collocati nella zona del monte Vulture. L’olio Vulture si presenta limpido, dal colore giallo ambrato con riflessi verdi, mentre al palato fruttato medio di oliva matura dal gusto dolce mandorlato, leggermente amaro con una lieve nota di piccante; il profumo fruttato medio con odore di pomodoro. Come per il vino Aglianico anche l’olio d’oliva Vulture trae benefici dai terreni di origine vulcanica e dal microclima della zona, che li conferiscono caratteristiche inconfondibili ed uniche.VULTUIRE[1] E’ ottenuto principalmente dalla frangitura della varietà di olive “Ogliarola del Vulture” (circa il 70 %), a cui si possono affiancare altri tipi come  “Coratina”, “Cima di Melfi”, “Palmarola”, “Provenzale”, “Leccino”, “Frantoio”, “Cannellino” e “Rotondella”. Per la molitura delle olive (fase di schiacciamento delle drupe) e l’estrazione dell’olio sono ammessi solo processi meccanici e fisici. E’ proibito l’uso di prodotti chimici.  La gramolatura (fase di rimescolamento) deve essere fatta massimo a 35 °C per una durata massima di 40 minuti. L’imbottigliamento deve essere effettuato rigorosamente nella zona di produzione per assicurare il controllo e la rintracciabilità, nonché per mantenere inalterate le qualità del prodotto.

  • Fagiolo Bianco di Rotonda DOP

Il Fagiolo Bianco di Rotonda DOP è un ecotipo di varietà rampicante, la pianta può raggiungere i 2,60 m di altezza, dal seme ovale di colore bianco privo di screziature. Da sempre apprezzato come prodotto genuino e di alta qualità si caratterizza per un alto contenuto proteico e una bassa percentuale di tegumento presente nei semi, parametro quest’ultimo molto interessante sia perché legato al tempo di cottura che alla gradevolezza del prodotto cotto. I Fagioli Bianchi di Rotonda sono prodotti in provincia di Potenza: nei comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore. fagiolo-bianco-rotonda[1] Il prodotto fresco deve essere posto in vendita nelle seguenti confezioni sigillate: retine dal peso massimo di 10 Kg e cassette dal peso massimo di 15 Kg. Il prodotto secco deve essere posto in scatole di cartone, sacchi di iuta o altro materiale riciclabile.

  • Caciocavallo podolico lucano

Il caciocavallo podolico lucano è un formaggio a pasta filata prodotto con latte di bovini di razza podolica allevati allo stato brado. Questa razza dal mantello bianco a sfumature grigie sembra sia giunta in Italia dalla Podolia, regione dell’Ucraina, nel V sec. d.C. con le invasioni barbariche. L’allevamento di questa razza oggi è diffuso su tutto l’Appennino Meridionale, ma il caciocavallo prodotto sulle alture della Basilicata è di gusto, sapore e qualità nettamente superiore. Le vacche podoliche sono un tipo di razza bovina molto resistente alle intemperie: d’inverno infatti si adatta molto bene alle basse temperature. La podolica si alimenta di foglie di essenze arbustive, i ricacci di quelle arboree e la produzione erbacea del sottobosco. La grande varietà di piante di cui si nutre conferiscono al latte dei sapori unici; il caciocavallo podolico ha infatti un sentore di erbe aromatiche come rosmarino e l’erica. La mungitura avviene a mano una sola volta al giorno nei mesi primaverili – estivi quando le vacche podoliche sono in alpeggio. Subito dopo 24 ore la mungitura inizia la lavorazione del formaggio. Il nome caciocavallo deriva dal fatto che le forme vengono legate a coppia da una fune la quale viene poggiata a “cavallo” di una trave sul soffitto.

86-409-large[1]Il caciocavallo stagiona per qualche mese fino a 2-3 anni (in alcuni casi anche per 6-7 anni); più sarà lunga la stagionatura più il sapore tenderà al piccante ed inoltre si presenteranno delle spaccature all’interno. La pasta è piuttosto compatta, di colore paglierino. Il caciocavallo podolico DOP si degusta tagliandolo a fette discoidali e successivamente a triangoli. Si abbina molto bene al vino Aglianico del Vulture oppure con l’ottimo miele lucano (Acacia, eucalipto, sulla, castagno e tartufo). Questo prodotto gode della protezione del Presidio Slow Food.

  • Mischiglio

Il mischiglio è una tipologia di pasta tradizionale della Basilicata risalente al periodo del tardo-Rinascimento. In genere viene prodotta in maniera artigianale, anche se negli ultimi tempi si è ricorso a speciali macchinari per la produzione su larga scala. La ricetta è rimasta inalterata nei secoli, infatti oggi come allora vengono usate farine di ceci, orzo, semola e fave. I comuni più rappresentativi del  vero mischiglio lucano sono Fardella, Teana e Calvera (tutti in provincia di Potenza). In Basilicata, per tradizione, viene condita con cacioricotta e peperone secco a scaglie. Nel 2017 sembrerebbe una moderna ricetta venduta nei migliori negozi vegani…PASTA__ARTIGIANA_4ab24737dad74[1]

  • Cacioricotta

E’ prodotto generalmente con latte misto di capra e di pecora. Tuttavia in alcuni periodi dell’anno, tra luglio e settembre, quando le pecore non producono più latte, può essere di solo latte di capra. La tecnica casearia non ha subito sostanziali modifiche nel corso del tempo; la caratteristica principale è quella di portare il latte quasi ad ebollizione (90 gradi centigradi), il che, mentre elimina i germi patogeni, ingloba nella cagliata sia la caseina del latte (utilizzata per la produzione del formaggio) che l’albumina (proteina impiegata per produrre la ricotta). Da qui il nome di cacioricotta. Una volta prodotta la cagliata, questa viene rotta in grani e separata dal siero. La massa risultante viene poi lavorata manualmente e sistemata nelle fascere per la sgrondatura e la formatura. Avvenuta la salatura il cacioricotta viene fatto riposare per circa 4-5 giorni in appositi locali. La stagionatura dura circa 4 mesi.

Cacioricotta[1]

Presenta una forma cilindrica, può essere consumato fresco da tavola se giovane; in questo caso può essere gustato da solo o in ricche insalate. Accompagna minestre, primi piatti, zuppe locali e corposi vini (come l’Aglianico) se stagionato.

  • Tartufo lucano

Quello che noi chiamiamo comunemente tartufo non è altro che il solo corpo fruttifero ipogeo (cioè sotterraneo) di alcuni funghi appartenenti al genere Tuber. image_gallery[1] I greci lo chiamavano “Hydnon”, da cui deriva il termine “idnologia”, la scienza che si occupa dello studio dei tartufi. Il tartufo cresce spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alberi ( querce, pioppi, lecci ecc.) con i quali vivono in simbiosi. Viene individuato mediante l’uso di cani ben addestrati. Il tipico profumo penetrante del tartufo si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale,cinghiale,tasso,volpe,ecc.) per far fuoriuscire le spore quindi per la propagazione della specie. E’ composto principalmente da acqua (80%), ridotte quantità di grassi e proteine, buon contenuto di sali minerali. Il profumo dipende dall’albero di cui è ospite, mentre per quanto riguarda la forma dipende dal tipo di terreno: se compatto il tartufo sarà rugoso mentre se soffice la superfice sarà liscia. In linea generale, l’habitat idoneo alle molte varietà si distingue per avere un suolo calcareo o calcico, con un pH vicino a 8, una percentuale più o meno importante di materia organica, buone condizioni di aerazione e di drenaggio e soprattutto un’intensa attività biologica. Non tutti sanno che in Basilicata sono presenti numerose specie di tartufi di qualità pregevole, di vanto sia a livello nazionale che internazionale. Recenti studi sul tartufo lucano hanno appurato che alcuni esemplari di Tuber magnatum (tartufo bianco pregiato) presentano alleli tipici di alcune regione meridionali, e inoltre la frequenza di tali alleli raggiunge valori pari al 100% solo nei tartufi della Basilicata, differenziandoli da tutti gli altri esemplari provenienti da altre regioni. Fra le specie presenti in questa regione ricordiamo:

– il Tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum Pico) – il Tartufo nero estivo o Scorzone (Tuber aestivum Vittad.) – il Tartufo bianchetto o marzuolo (Tuber borchii Vittad.) – il Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittad.) – il Tartufo uncinato (Tuber aestivum Vitt. forma uncinatum Chat.) – il Tartufo brumale (Tuber brumale Vittad.) – il Tartufo nero moscato (Tuber brumale Vittad. forma moschatum Ferry) – il Tartufo nero di Bagnoli (Tuber misentericum Vittad.) – il Tartufo nero liscio (Tuber mascosporum Vittad.)

  • Treccione

E’ un formaggio a pasta filata ottenuto con una lavorazione molto simile a quella della mozzarella, ma con una pasta più consistente, fibrosa e priva di occhiature. Modellato a mano a forma di treccia, può raggiungere 1 metro di lunghezza. Il latte utilizzato è quello bovino intero pastorizzato.

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  • Toma lucana

La toma lucana, a differenza di altre prodotte in altre regioni d’Italia, viene realizzata con solo latte di pecora oppure mista. Si tratta di un formaggio a pasta cruda morbido e uniforme, dal colore bianco avorio e dal sapore tendente al dolce. toma-di-capra-504-1[1] Sottoposto a stufatura naturale e passato in salamoia, richiede una stagionatura di minimo due mesi. La stagionatura così come la forma e il peso variano da casaro a casaro. Questo formaggio può essere servito tra gli antipasti o come dessert.

 

 

 

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